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L’alienazione nel lavoro oggi, a cura di Giorgio Fazio

Giorgio Fazio, autore del saggio “Ritorno a Francoforte”, ci introduce al saggio di Rahel Jaeggi “Nuovi lavori. Nuove alienazioni”. Nella foto un fotogramma dal film “Tempi moderni” di Charlie Chaplin, 1936.

Il tema dell’alienazione nel mondo del lavoro sta tornando al centro dell’attenzione sociologica e filosofica. Sta divenendo anche l’oggetto di una ricca produzione letteraria e cinematografica. Basti pensare ad un film come Sorry We missed you di Ken Loach, dove viene narrata la storia di Abby, padre di famiglia che vende la sua auto per acquistare un furgone che gli dovrebbe permettere di diventare un trasportatore freelance con un consistente incremento nei guadagni. La promessa di autonomia ed emancipazione individuale, vero e proprio miraggio del nuovo capitalismo neoliberista, si rovescia puntualmente, però, in un’inedita forma di servitù, fatta di  oppressione, di impotenza, di degradazione umana  e di svuotamento interiore. Una mole smisurata di dati e di analisi oggi ci informa sulle nuove patologie sociali del lavoro contemporaneo. Il nuovo capitalismo digitale e della piattaforma ha creato una gig economy di nuovi lavori precari, non protetti legalmente, che ripropongono, spesso in forme persino acutizzate, casi di sfruttamento di stampo ottocentesco. Sempre più persone oggi lottano per non essere espulsi nel territorio desolato della disoccupazione strutturale. E come se non bastasse, anche nei settori di punta altamente retribuiti dell’economia della conoscenza, nei quali si è assistito ad un mutamento di forma del lavoro, per la quale si è parlato di una «soggettivizzazione del lavoro», si è diffusa tutta una nuova gamma di malesseri da lavoro. Le statistiche parlano al riguardo di un aumento di casi di burn out, depressioni, persino suicidi.

Il testo di Rahel Jaeggi, tradotto per Castelvecchi con il titolo Nuovi lavori. Nuove alienazioni s’inserisce in questo nuovo dibattito sulle nuove forme di alienazione del lavoro contemporaneo. Esponente di spicco della nuova teoria critica tedesca, Jaeggi si è concentrata negli ultimi anni su un lavoro filosofico, volto a riformulare una critica dell’alienazione all’altezza delle nuove sofferenze sociali che attraversano le nostre società contemporanee. Jaeggi ha dedicato a questo tema una corposa monografia, che ha avuto una vasta eco nel dibattito filosofico internazionale (R. Jaeggi, Alienazione, 2005). In questo studio avvincente e serrato, uscito in Italia nel 2017 per Castelvecchi, la filosofa tedesca ha chiarito quali erano i limiti dell’uso che veniva compiuto in passato di questo concetto e quali sono le vie che consentono oggi di reintrodurlo quale strumento idoneo ad interpretare le tante forme di sofferenza sociale del nostro tempo, descrivibili come casi di alienazione.

In questo testo, Nuovi lavori. Nuove alienazioni, Jaeggi porta avanti questa ricerca. La filosofa invita a rileggere l’alienazione nel lavoro contemporaneo come l’effetto di un «impedimento a partecipare alle risorse universali della società». È un ulteriore tappa nel percorso di rivisitazione del concetto marxiano di alienazione: un ulteriore tentativo di riformularlo, per non disperderne il suo prezioso potenziale critico ed emancipatorio.

Oggi ci si aliena – scive Jaeggi in questo testo – non solo perché costretti a svolgere mansioni ripetitive, impoverite, prive di senso in una catena di montaggio, ma anche perché costretti alla disoccupazione, ad un lavoro precario e discontinuo o anche ad un lavoro altamente professionalizzato in cui salta qualsiasi distinzioni tra tempo di lavoro e tempo di vita. Per tutti questi casi è adeguato parlare di patologie del lavoro: ossia deficit all’interno di una forma di cooperazione sociale mediata dal lavoro.

Ma che cos’è propriamente il lavoro? Perché esso è ancora così centrale nelle nostre società e nelle nostre vite? E cosa vuol dire poi, in ultima istanza, che ci si aliena nel lavoro? Prendendo a prestito una frase di Hegel, Jaeggi afferma che possiamo definire il lavoro in termini generali nel modo seguente: lavoro è condividere, partecipare, prender parte alle risorse di una società. Il termine «risorsa» indica ciò che una determinata società ha raggiunto, e che sarà capace di sviluppare ulteriormente, in termini sia di ricchezze sia di competenze. Si spiega perché è ancora così importante il lavoro nelle nostre vite: «il lavoro consente a ognuno di condividere le risorse della società, non semplicemente perché è un mezzo per acquisire ricchezza e entrare nella sfera delle relazioni intersoggettive, ma anche perché consente di condividere il sapere nel suo evolversi e il know-how di una società» (Jaeggi).

Si delinea così una nuova ottica complessiva per rileggere criticamente cosa non va nelle nostre società: le patologie del lavoro possono essere intese come diversi modi di rifiutare o impedire la partecipazione alle risorse universali delle nostre società. Gli ostacoli a partecipare, condividere, prender parte alle risorse sociali, procurano mancanza di riconoscimento e sofferenza. Contro queste forme di ingiustizia dobbiamo lottare, per riappropriarci di tutte quelle ricchezze materiali, cognitive e relazionali, che si riproducono solo attraverso la cooperazione sociale.

Giorgio Fazio

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