“Theodor Haecker: un cattolico nel secolo tedesco” di Gabriele Guerra
Pubblichiamo un contributo inedito dedicato a Theodor Haecker a firma del professor Gabriele Guerra, docente di letteratura tedesca alla Sapienza Università di Roma, studioso di Walter Benjamin e del pensiero letterario e filosofico-religioso tedesco della prima metà del XX secolo.
Theodor Haecker (1879-1945): un cattolico nel secolo tedesco di Gabriele Guerra
Essere cattolici in Germania nell’infiammato “secolo breve” è stata una cosa abbastanza complicata. Il cosiddetto Kulturkampf, la lotta “culturale” ingaggiata dal cancelliere Bismarck alla creazione dello Stato tedesco – di quello cioè che è passato alla storia come “Secondo Reich” (essendo il primo quello del Sacro Romano Impero medievale) –, segnò l’esclusione sociale, politica e culturale di coloro che venivano considerati “nemici”: i socialisti e i cattolici, appunto. I cattolici uscirono da quella condizione di minorità politica e culturale solo con la fine della Grande Guerra e la nascita della Repubblica di Weimar; e ne uscirono talmente bene che un partito fondato per testimoniare l’utilità della presenza confessionale nella lotta parlamentare, denominato Zentrumspartei, partito del Centro – guidato da un prelato cattolico, Ludwig Kaas (un po’ come Don Sturzo con il suo Partito Popolare nell’Italia antemussoliniana) –, ricevette centralità anche nelle varie coalizioni di governo che portarono avanti le sorti di quella democrazia. In tal modo il cattolicesimo politico e culturale nel mondo tedesco weimariano divenne qualcosa di profondamente diverso da quello che era stato nei quattro decenni precedenti: acquisì cioè una rilevanza pubblica che significava anche una forma di esistenza più attrattiva di prima, per un concetto di storia e di politica europee orientate alla trascendenza e all’idea di Rivelazione.
Forse anche per questi motivi Theodor Haecker, nato nel 1879 in quella Svevia che incarnava l’anima profondamente pietistica e protestante della Germania del sud, decise nel 1921 di convertirsi al cattolicesimo. In Haecker, comunque, fu la letteratura a giocare il ruolo decisivo nella conversione: dipendente di un editore bavarese piuttosto noto, tra le altre cose fu anche traduttore da diverse lingue: dal danese per le opere del filosofo Kierkegaard, dal latino, a rendere le ecloghe virgiliane, e dall’inglese, da cui trasse le versioni tedesche del cardinale John Henry Newman, che furono determinanti per la sua conversione. In fondo, l’appartenenza al cattolicesimo venne fin da subito vissuta da Haecker come un’appartenenza in partibus infidelium, in mezzo al sempre preponderante protestantesimo tedesco e – ancor più – all’agnosticismo di massa che dominava il paesaggio moderno: un paesaggio un po’ influenzato dalla “morte di Dio” predicata dallo Zarathustra di Nietzsche; un po’, più semplicemente, dimentico di ogni possibile trascendenza e spiritualità. Per cui non fu difficile per Haecker sviluppare subito, all’indomani del 30 gennaio 1933 (quando il Presidente Hindenburg incaricò il leader del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori Adolf Hitler di formare un nuovo governo), una genuina e irrevocabile vocazione antinazista, come testimonia il suo intenso Diario dei giorni e delle notti, scritto tra il 1939 e il 1945, nascosto dalle rapaci mani dei nazisti e infine pubblicato in traduzione italiana da Castelvecchi nel 2019. In quel diario, Haecker definisce i nazisti degli “apocalittici mascalzoni” adorati da “stupidi fanatici”; però allo stesso tempo, come scrive alla data del 6 gennaio 1943, è convinto che «la cristianizzazione del mondo, quindi il progresso verso il meglio inteso nel suo supremo sviluppo, quello della bontà e dell’amore, è possibile». Il diario venne pubblicato in tedesco solo postumo nel 1947, dal momento che Haecker era morto poco prima che la guerra finisse, il 9 aprile 1945, per una crisi diabetica causata dalla mancanza di insulina nella Germania devastata dagli ultimi mesi del conflitto.
Non bisogna poi dimenticare, infine, che fu proprio una figura come Haecker, cattolico contrario a qualsiasi forma di “religione politica” incarnata dal nazionalsocialismo, tra le personalità che hanno ispirato i fratelli bavaresi Hans e Sophie Scholl nel fondare il gruppo di resistenza della “Rosa Bianca” – una delle più limpide pagine di resistenza, non solo spirituale, al regime hitleriano, pagata con la vita dai due giovani.
Una delle opere più interessanti di Haecker che qui si presenta prende però le mosse dalla sua passione, non solo traduttiva, per le opere e la figura di Publio Virgilio Marone. Al poeta latino il pensatore tedesco dedica un testo, apparso nel 1931, significativamente intitolato Vergil. Vater des Abendlands (Virgilio, padre dell’Occidente, in preparazione da Castelvecchi, che sta attendendo alla pubblicazione sistematica degli scritti di questo originale autore). In questo libro Haecker non fa solo confluire il suo profondo amore per l’autore dell’Eneide, delle Bucoliche, delle Georgiche, quale traspare da ogni pagina; ma lo considera anche un’anima naturaliter christiana – inserendosi cioè così pienamente nel solco di una tradizione occidentale, che rimonta al Medioevo, che vede in determinati autori della classicità greco-latina dei veri e propri precursori spirituali del cristianesimo. Ma non è tanto per questo che il libro risulta interessante, quanto piuttosto in forza del messaggio politico che Haecker intende lanciare al proprio tempo: Virgilio incarna ai suoi occhi la perfetta figura di poeta-filosofo (cui l’identità tedesca è sempre stata tanto sensibile), che è allo stesso tempo poeta-contadino (l’agricoltore che è anche il portatore della cultura), poeta-pastore e soprattutto poeta-capo, cioè guida del suo popolo verso una propria compiuta identità. Nell’uso insistito che Haecker fa della parola Führer vi sono anche echi di quanto la parola fosse diffusa nella Germania prehitleriana, e che proprio per questo diventerà parola centrale dell’ideologia nazionalsocialista; però non sono solo questi echi, dalla natura schiettamente conservatrice, che nutrono l’immaginario haeckeriano debitore allo spirito del proprio tempo. Il suo richiamo al culto del capo qui anzitutto passa per l’epica del pius Enea, dell’anima del condottiero, fondatrice di un impero (anche Reich è una parola a cui Haecker è estremamente sensibile, come tanti altri testimoni del suo tempo), ma che si sottomette volentieri a un ordinamento superiore, quello divino. In tal modo il Virgilio di Haecker diventa la manifestazione – poetica essa stessa, nella sua retorica argomentativa e nel suo pathos argomentativo – del sogno tutto tedesco del Reich, di un Reich eterno, ben guidato da un capo sensibile alla trascendenza. Il sogno di Haecker, quindi, non assomiglia per niente a quello millenario, all’incubo nazista, perché il Reich che sogna è a un tempo saldamente ancorato nel passato, rivolto al futuro, ma soprattutto centrato sul presente: «Noi tutti viviamo infatti nell’imperium romanum, che non è morto».
Gabriele Guerra