Politica e attualità

41° anniversario dalla Strage di Bologna – Carlo Lucarelli

A 41 anni dalla Strage d Bologna del 2 agosto 1980 pubblichiamo la prefazione di Carlo Lucarelli al libro “Storia di una bomba” di Cinzia Venturoli.


Tre cose, molto semplicemente.
La prima è un sentimento.
Un giorno, parecchi anni fa ma non così tanti, stavo chiacchierando con un amico che ha l’abitudine di parlare troppo (ce l’ho anch’io). Non so come ma il discorso era finito sulle tante brutte storie che hanno caratterizzato la vita del nostro sfortunato e bellissimo Paese e io avevo già cominciato a rispondere a monosillabi e mugugni per troncare quella conversazione che si era fatta insopportabilmente lunga quando lui ha detto e la strage alla stazione di Bologna? Mistero totale… non si è mai saputo niente.
E io sì, certo, tanti saluti e me ne sono andato con un sospiro di sollievo.
Dopo un passo, però, mi sono fermato. Mistero totale?
Non si è mai saputo niente?
Non è vero. Della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 sappiamo tante cose. Non tutte, non abbastanza ma molte, e moltissime con più che ragionevole certezza. Già ai tempi di quella nostra stupida conversazione un paziente, tenace, coraggioso e a volte anche disperato lavoro di indagine aveva ricostruito fatti, tolto di mezzo ipotesi e messo in campo altre che poi si sarebbero rivelate realtà. Stava accertando responsabilità concrete, sia materiali che morali e politiche.
Tante cose, sempre di più, messe insieme pezzo per pezzo dagli investigatori, dai magistrati, dai giornalisti, dai ricercatori, dagli storici, un po’ anche dagli scrittori, ma soprattutto dalle vittime nel corpo o nell’anima di quella bomba assurda, pezzo per pezzo, appunto, a ricucire gli strappi tra Verità giudiziaria, Verità storica e quella del Buon Senso. Tante cose.
E non importa se periodicamente – di solito all’approssimarsi di ogni anniversario – vengono rimesse in discussione, come è legittimo nel normale processo di rielaborazione storica, quando è in buona fede.
Perché non è stato un lavoro facile. Tanti, troppi anni di menzogne e ricatti hanno complicato le cose, anni di depistaggi, coperture e insabbiamenti, anche istituzionali, i peggiori, perché lo sanno anche i bambini che quando giochi a Guardie e ladri, se le guardie fanno anche la parte dei ladri allora il gioco non funziona più. C’è un film di Martin Campbell con Mel Gibson, Fuori controllo, un thriller in cui avviene un delitto con risvolti politici, e allora il governo manda un tizio incaricato, lo dice lui stesso, di inventarne tante, ma così tante e così incredibili che quando qualcuno cercherà di fare chiarezza non si capirà più niente. Quello è solo un film, va bene, non c’entra nulla con Bologna, però mette in scena un meccanismo che è accaduto tante volte nella realtà storica del nostro – lo ripeto – bellissimo e sfortunato Paese. Ma nonostante tutto i punti fermi ci sono, e sono tanti. Perché quello della strage del 2 agosto non è un mistero, anche se di solito lo chiamiamo così, e pure con l’iniziale maiuscola, un Mistero, un Mistero Italiano. È un segreto, con la maiuscola anche lui, un Segreto, un Segreto Italiano, se volete.
Io l’ho imparato proprio da Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime del 2 agosto, una sera che presentavamo un libro al circolo Fuori Orario di Taneto, in provincia di Reggio Emilia. Io continuavo a parlare di misteri, Misteri Italiani, e lui, giustamente, mi sgrida: i misteri sono quelli della fede, questi sono fatti concreti, azioni
umane, questi sono, più laicamente e concretamente, segreti.
È vero. Nascosti da qualche parte, in un archivio, dentro un cassetto, magari in triplice copia, o nella testa di qualcuno, ma segreti. E come tali, prima o poi, si possono trovare, si possono ricostruire, si possono svelare. E in tutti questi anni, tanti, prima dieci, poi venti, trenta, adesso quaranta – troppi – di segreti ne sono stati svelati molti. Quindi, stupido il mio amico a pensare che della strage non si è mai saputo niente, e stupido io a non tornare indietro a fermarlo per riaprire la conversazione, per quanto lunga fosse già stata. Perché i segreti non basta scoprirli. Perché diventino verità, storia e memoria, bisogna anche divulgarli. Bisogna raccontarli. E questa è la prima cosa. La seconda è una considerazione.
Sappiamo tanto della strage del 2 agosto, va bene, ma non sappiamo tutto. Non sappiamo abbastanza. Per le modalità con cui si compie, per l’obbiettivo che si sceglie di colpire, per le persone coinvolte nella sua realizzazione e copertura, ma soprattutto per il periodo storico in cui avviene, fare luce sulla strage significa fare luce su uno snodo importante della nostra storia.
E non soltanto della nostra. Attraverso la stazione di Bologna quella bomba arriva in tutto il mondo. A seguire molte delle udienze dei vari processi arriva in tribunale un signore giapponese: è il padre di Iwao Sekiguchi, uno studente in vacanza in Italia ucciso dall’esplosione mentre aspettava il cambio col treno per Venezia. La bomba scoppia a Bologna e colpisce anche a Tokyo. Non è l’unica volta che succede qui da noi. Mi ricordo la prima volta che sono andato alla sede dell’Associazione e sono rimasto col dito a
mezz’aria, impietrito, senza riuscire a suonare il campanello. Sul citofono del numero 22 di via Polese c’erano le intestazioni di altre due associazioni, oltre a quella del 2 agosto: Associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica e Associazione vittime della Uno bianca. Tre stragi, tutte a Bologna. E ne mancavano, almeno idealmente, ancora due: quella del treno espresso Italicus e quella del Rapido 904. Ecco, in quel 1980 il mondo sta cambiando, cambiano gli equilibri tra i poteri – quelli inconfessabili e occulti –, cambia anche la geografia dell’eterna guerra fredda che ha fatto scoppiare tante altre bombe, e non solo nel nostro Paese.
Ricucire finalmente e definitivamente Verità storica, giudiziaria e del Buon Senso su quelli che furono i mandanti della strage, sulle loro complesse intenzioni e sui loro piani, sul perché tanta gente è morta ed è stata straziata così, nel corpo e nell’anima, è un atto fondamentale, un passaggio necessario per capire un passato che resta sempre presente e rischia per questo di essere ancora futuro.
La terza cosa è di nuovo una sensazione. Anzi, un’emozione.
La racconto attraverso un paio di ricordi personali.
Nel 2003 mi sono occupato della strage per Blu notte – Misteri italiani, appunto, il programma che tenevo allora su Rai 3. L’obbiettivo era anche quello di mettere in fila i fatti proprio per offrire uno strumento di riflessione a quelli che, come il mio amico, pensavano che non si è mai saputo nulla. Io non sono un giornalista e neanche uno storico, solo uno
scrittore che racconta, e siccome noi scrittori a volte ci lasciamo prendere troppo dall’emozione, ho pensato che avrei dovuto studiare il materiale che avevamo raccolto con un certo distacco, con quella professionale distanza che attribuirei a un medico durante un’autopsia. Il paragone è brutto, ma era quella che credevo di dover mantenere: una certa consapevole, seppur dolorosa e anche addolorata freddezza. Poi, tra le prime cose, vedo il girato della Rai regionale che riprende l’attesa dei parenti nel cortile davanti all’obitorio dell’ospedale Maggiore. Genitori, coniugi o fratelli chiamati a riconoscere qualcuno, i loro volti serrati nel silenzio bianco e ronzante della presa diretta mentre sperano di essere stati chiamati per sbaglio – magari non ha saputo niente, è in vacanza sul Gargano, non c’è neanche la tv – e poi le urla di chi invece l’ha riconosciuto, quel qualcuno. E mi sono messo a piangere.
Mi sono occupato di nuovo del 2 agosto nel 2014, per un altro programma, La tredicesima ora, sempre su Rai 3. Una puntata specifica, perché nel frattempo la strage l’avevo raccontata in qualche modo anche in altre occasioni, e avevo pianto tante altre volte, e ormai pensavo di sapere tutto, di conoscere tutto, di potermela permettere quella dolorosa e addolorata professionale freddezza. Poi incontro per la prima volta la fotografia di Angela Fresu, tre anni, la vittima più giovane della strage. Non so perché non l’avessi vista prima, in tutti quegli anni, è un’immagine molto diffusa, una bambina dolce e un po’ imbronciata, proprio carina. Identica, davvero identica, stessa espressione, stessa apertura degli occhi, stessa piega delle labbra, a mia figlia Angelica, che in quel 2014 ha proprio tre anni, noi a volte la chiamiamo Angelina e mi immagino che talvolta abbiano chiamato così anche lei, Angela, Angelina Fresu.
Non voglio dire che la strage del 2 agosto sia speciale. O lo sia per me.
Tutte le stragi lo sono, sto male quando penso alla moglie di Manlio Milani, Livia, che si volta verso il marito un attimo prima di sparire nell’esplosione di piazza della Loggia, e sto male quando penso ai fratellini di Margherita Asta fatti a pezzi assieme alla madre da un’autobomba che vuole uccidere un giudice in Sicilia. E non è neppure perché conosco Manlio o Margherita, faccio fatica anche a pensare a Enrico Pizzamiglio, che non conosco, steso nel letto del policlinico di Milano dopo che la bomba di piazza Fontana gli ha strappato una gamba, a dodici anni. Quella di Bologna è una strage, bastarda, vigliacca, orrenda e brutta come lo sono tutte, e anche quando sapremo finalmente tutta la verità, conosceremo tutti i come e i perché, sapremo nomi e cognomi di tutti i responsabili e li avremo consegnati al disprezzo della Giustizia e della Storia, quello strappo nel muro della stazione di Bologna continuerà a stringerci il cuore, a me e a tutti quelli che ci passeranno davanti conoscendone la storia.
Perché così fanno le bombe, così fanno le stragi.
Tre cose, quindi, molto semplicemente, per dire perché c’è bisogno di un bel libro come questo, concreto, accurato e preciso, scritto da chi conosce bene i fatti per averli studiati, analizzati e conservati, ed è in grado di raccontarli mettendo in fila con passione tutti quei tanti punti fermi che finalmente abbiamo, in attesa di quelli che presto arriveranno. L’avessi avuta adesso, quella stupida conversazione col mio amico, e mi avesse detto la strage alla stazione? Non si è mai saputo niente, gli avrei risposto, aspetta, prima leggiti il libro di Cinzia Venturoli. Poi, se vuoi, ne parliamo.

Carlo Lucarelli

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