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L’ “operazione speciale” degli omofobi (russi, italiani e di tutto il mondo), testo di Luigi Marinelli

A pochi giorni dal Kyiv Pride che si terrà il 25 giugno a Varsavia pubblichiamo un contributo del professor Luigi Marinelli, ordinario di Slavistica – Lingua e letteratura polacca dell’Università Sapienza di Roma. 

Nonostante la demenza senile collettiva delle nostre società (uno dei cui sintomi evidenti è la perdita grave della memoria a breve), qualcuno ancora ricorderà che poco più di tre mesi fa il Patriarca di Mosca Kirill nella sua predica della “Domenica del Perdono” (7 marzo) giustificò l’invasione ucraina come una sorta di crociata contro i paesi che sostengono i diritti degli omosessuali, fra questi la stessa Ucraina, dove ancora l’anno scorso migliaia di persone avevano partecipato al Kyiv Pride. Questa dichiarazione ovviamente fece molto rumore nel mondo libero e anche da noi. Chi forse l’ha stigmatizzata con maggiore enfasi ed efficacia è stato Adriano Sofri, pubblicando su “Il Foglio” del 29 marzo un commento che iniziava con le parole «è il momento di dire che, attraverso l’Ucraina, Putin ha dichiarato guerra all’omosessualità. L’hanno indicata, lui, il suo cappellano militare Kirill, i suoi consiglieri Aleksandr Dugin e Natalya Narochnitskaya, come il cuore profondo dell’Occidente».  In quell’articolo (da rileggere), con la sua consueta onestà intellettuale Sofri ammetteva: «Non è mia la rivelazione sulla guerra in Ucraina di Putin contro l’omosessualità, com’era prevedibile. “I gay” lo sapevano. Sulla Boston Review del 14 marzo è uscito un saggio di Emil Edenborg intitolato appunto “La guerra anti-gay di Putin contro l’Ucraina”». In realtà “i gay”, cioè le persone russe lgbtq+ lo sapevano già da molto prima, perfino da prima della legge russa cosiddetta contro la propaganda omosessuale, lo sapevano fin dalla loro nascita.

Anche in Italia sappiamo che c’è stata nei mesi e negli anni scorsi un’”operazione speciale” contro i diritti delle persone omosessuali, bisessuali e trans, capeggiata da infausti personaggi alcuni dei quali, magari casualmente, non erano presenti in aula quando il Presidente Zelens’kyj (non essendo gay, per lui Putin & Co. hanno potuto usare solo l’epiteto-fratello di “drogato”) ha tenuto la sua video-conferenza al Parlamento italiano (22 marzo). Ma noi ricordiamo le loro barbariche urla di gioia, quando invece erano ben presenti al momento della bocciatura della “Legge Zan” (22 ottobre 2021); e ricordiamo anche l’inchiesta giornalistica del settimanale “L’Espresso” del novembre 2018 sui rapporti economici, mai emersi in precedenza, tra la Russia di Putin e alcune fondazioni e associazioni della destra integralista cattolica. L’uso politico della questione lgbtq+ sembra ormai diventato un fatto quasi identitario per le destre più o meno populiste di tutto il mondo, anche perché essa viene il più delle volte intrecciata con altre questioni non meno importanti e “identitarie” per quella parte politica, come quelle dell’immigrazione, dell’inclusione, dello ius soli ecc. Giorgia Meloni, leader di quello che attualmente è il secondo se non addirittura il primo partito italiano, il 17 maggio scorso twittava: ““In tante nazioni l’omosessualità è ancora considerata reato, e in alcuni Stati musulmani, addirittura punita con la morte. Ma in pochi parlano o condannano ciò e spesso si preferisce fingere di non vedere. Basta ipocrisie, basta persecuzioni“. Ma il doppio senso di una tale affermazione, inserita in un quadro globale di “scontro di civiltà”, risulta lampante se riletto alla luce delle recenti dichiarazioni della stessa on. Meloni in Andalusia (13 giungo 2022), a sostegno di una candidata di Vox, il partito della Destra spagnola: “Sì alla famiglia naturale, no alla lobby LGBT! Sì all’identità sessuale, no all’ideologia gender! Sì alla cultura della vita. No all’abisso della morte. Sì all’universalità della Croce. No alla violenza dell’Islamismo. Sì ai confini sicuri. No all’immigrazione di massa. Sì al lavoro della nostra gente. No alla grande finanza internazionale. Sì alla sovranità dei popoli, no ai burocrati di Bruxelles. Sì alla nostra civiltà e no a coloro che vogliono distruggerla». 

Certo, l’Italia della Meloni e di quelli che (per ora) hanno affossato la Legge Zan non è la Russia di Putin e Kirill, e tanto meno l’Iran dell’ayatollah Khamenei, il quale il I marzo scorso (proprio come certi nostri ultras pacifisti dell’ultrasinistra) incolpando della guerra in Ucraina il regime “mafioso” degli Stati Uniti, ha precisato: “C’è una grave degradazione morale nel mondo di oggi, l’omosessualità e cose di cui non si può nemmeno parlare”. Il citato Adriano Sofri nel suo articolo sul “Foglio” rammentava che «alla voce pertinente sulla Russia di Wikipedia si ricorda il governatore della regione di Tambov, Oleg Betin, che nel 2008 dichiarò pubblicamente che “gli omosessuali dovrebbero essere fatti a pezzi e lanciati in aria”».

Oggi, se l’Ucraina e l’Occidente non difendessero i loro valori di democrazia e di libertà e di conseguenza anche i diritti delle minoranze di ogni genere, a partire da quelli delle persone lgbtq+, questa sarebbe la fine che farebbero molte persone omosessuali e non binarie nel mondo: essere fatte a pezzi e lanciate in aria. Metaforicamente e realmente.

Forse è giunto il momento di dire che la questione di cui stiamo parlando è una questione di libertà per tutte e per tutti, soprattutto per le persone non lgbtq+.

Il 17 maggio scorso si è celebrato in tutto il mondo Idahobit (Giornata Internazionale contro Omofobia, Bifobia e Transfobia), ma in Ucraina il 17 maggio è stato un giorno di guerra come gli altri. Notizia delle scorse settimane è che quest’anno il Kyiv Pride (giunto alla sua decima edizione) si terrà il 25 giugno, ma a Varsavia, la capitale che, assieme ad altre città polacche, ha accolto con amore milioni di profughi ucraini. E anche per questo c’è da aspettarsi che la partecipazione delle polacche e dei polacchi a questa manifestazione sarà enorme. Sarebbe infatti il momento che gli attuali governanti polacchi capissero quanto sia importante questo gesto di solidarietà e di accoglienza della comunità lgbtq+ polacca verso quella ucraina e ne traessero le giuste conseguenze anche sul loro piano legislativo interno.

Quella che a Varsavia si chiama “Marcia dell’uguaglianza” giunge così alla sua 21° edizione nel segno tragico della guerra e della fratellanza fra due popoli che, nella storia e fino ad oggi, hanno subìto le più gravi conseguenze dell’oppressione totalitaria e dell’imperialismo russo. E dunque non resta che ripetere le parole di Lenny Emson, la presidente di KyivPride: “La Russia ci toglie le case, le famiglie, gli amici, le persone vicine, ma non ci toglierà mai la libertà, il diritto all’esistenza e alla parola. Il 25 giugno non faremo festa. Vogliamo lanciare un appello a tutto il mondo: Aiutate l’Ucraina a vincere! Aiutate gli Ucraini a vivere in libertà nella loro terra!”.

Luigi Marinelli 

Testo parzialmente pubblicato in polacco su “Gazeta Wyborcza” il 17 maggio 2022, ora aggiornato e ampliato

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