Edoardo Pisani finalista al Premio Berto
Pubblichiamo un estratto dal primo capitolo del romanzo “E ogni anima su questa terra” di Edoardo Pisani finalista al Premio Berto 2022.
Sinossi
Yuri è nato l’undici settembre del 2001, e a ogni compleanno riempie un quaderno con fotografie di attentati e dei suoi festeggiamenti – anno dopo anno, bomba dopo bomba, candelina dopo candelina. Ricevuta l’eredità del nonno – un vecchio cappotto e un quaderno pieno di parole incomprensibili – comincia a investigare su di lui, cercando la sua tomba e decifrando il suo quaderno. Intanto riesce a innamorarsi di una ragazza, Lara, soprattutto grazie a un gatto suicida, lanciatosi da una finestra del manicomio abbandonato, a Gastropoli, dove era rinchiuso proprio suo nonno. La pazzia del nonno è parte della sua eredità? E cos’è l’Ordine dei cavalieri estinti, a cui il nonno era iscritto e che già sembra richiamare il giovane Yuri? Fra poesie e incanti, lucidità e terribili deliri, un intreccio di storie famigliari che travalicano il tempo e lo cancellano: una vertigine di esistenze che continuano a interrogarsi sull’origine della follia.
Un estratto
Bisavolo Ignoto ha lunghi baffi spioventi e un cappotto scuro che gli arriva ai piedi e tocca la sabbia, l’acqua, circondandolo come un mantello. Lo guarda da una spiaggia in bianco e nero, con la progenie ai fianchi e gli occhi fissi nell’obiettivo, nel futuro, nel destino, il figlio ritto accanto a lui, nonno Gabriele, morto infiniti anni dopo, infiniti anni fa, ormai fuori dal manicomio di Gastropoli, allora soltanto un ragazzo di venticinque anni in posa di fianco al padre, senza donna e con un figlio a carico, il nipote dall’altro lato, padre Eugenio, figlio di Gabriele e Elvira, Elvira scomparsa, la madre che non c’era e che non ci sarebbe stata mai. Eugenio è un bambino che si copre gli occhi dal sole in bianco e nero e sorride allo scatto dell’apparecchio fotografico, che sorride a noi. Sono tutti e tre vestiti a festa, padre e figlio e nipote, o meglio a fotografia, con gli abiti migliori indossati per l’occasione, un ritratto in riva al mare, la spiaggia grigia sullo sfondo.
Yuri aveva scoperto tardi la follia del nonno, il suo imperfetto stato mentale, la sua natura schizofrenica, la malattia e il ricovero nel manicomio di Gastropoli, a pochi chilometri da Roma, come aveva saputo tardi, la settimana del suo diciottesimo compleanno, dell’Ordine dei cavalieri estinti, che già lo richiamava. A quanto sembrava nonno Gabriele aveva previsto ogni cosa, la sua nascita e il compleanno e i regali, il Quaderno Vecchio e i vestiti tramandati da una generazione all’altra, i calzoni e la giacca e il cappotto che Bisavolo Ignoto, padre di nonno Gabriele di cui neppure sua madre ricordava il nome, forse nonno Anselmo o nonno Franco, forse nonno Antonio, indossava sulla spiaggia. Ma ecco ancora suo nonno, in un’altra fotografia, il suo volto in primo piano, lo sguardo troppo fisso e le labbra rigide e scure, come segnate.
Yuri aveva disteso i suoi vestiti sul letto, quasi fosse ancora vivo, nonno Gabriele a riposo, folle o meno, un fantasma vestito a festa, i pantaloni grigi e la giacchetta e la camicia bianche, il cappotto appeso al muro e le scarpe nere sul pavimento. Seduto al tavolo, in pigiama, Yuri osservava le fotografie ricevute in dono dal notaio, dal nonno impazzito, Gabriele, i suoi vestiti sul letto e il suo sguardo folle in primo piano, a pochi minuti dalla mezzanotte del suo diciottesimo compleanno, nella casa buia. Tutto taceva. D’un tratto la mezzanotte era scoccata e il dieci era divenuto undici, undici di settembre, la data del suo compleanno. Yuri era un uomo adulto, ormai, nel senso legale del termine: un adulto, un diciottenne. Gli abiti del nonno formavano un fantasma sgonfio sopra il letto, al posto suo, forse il padre che dormiva o il nonno o Bisavolo Ignoto e i suoi lunghi baffi neri che gli ricadevano sul volto, sul cuscino. Yuri raccolse le scarpe e le depose ai piedi, per così dire, del fantasma, allineate ai pantaloni. Dopodiché prese il cappotto di Bisavolo Ignoto e lo indossò alla bell’e meglio, infilando le maniche con fare goffo, tanto era pesante e polveroso, un cappottaccio. Si sedé di nuovo al tavolo e guardò il nonno, figlio di Bisavolo Ignoto, che dormiva al posto suo. Eppure anche lui, Yuri, doveva addormentarsi. Non era stata una gran festa, anticipata di un giorno affinché cascasse di domenica, il dieci e non l’undici di settembre, i suoi diciott’anni appena compiuti e i doni del nonno, i vestiti e le scarpe e il Quaderno Vecchio, e poi i regali di famiglia, non un granché a dire il vero, dei libri e il telefono nuovo e qualche vestito sparso, non l’automobile che sperava – e poi, o prima, o dopo, di lì a qualche giorno, di lì a qualche ora, qualche ora o qualche giorno fa, la scoperta dell’Ordine dei cavalieri estinti, lo stemma dietro la fotografia, altro lascito del nonno. Ora Yuri era sdraiato sul divano, il festeggiato in attesa della cena, della festa, chiacchierando con la madre e aspettando la sorella, il cibo, la torta e i pacchetti da scartare, i diciott’anni anticipati. Parlavano di lui, di nonno Gabriele e della sua follia, della sua malattia e della sua morte – di cosa ciò significasse.
«Quindi sarebbe il padre di…».
«Il padre di tuo padre, ma non ne sappiamo altro».
«Il nonno, dunque».
«Eh» «E perché proprio a me?».
Sua madre fissava l’orologio appeso al muro, le lancette dei secondi che correvano sul quadrante, via un secondo, via un altro. «Non ne ho idea» aveva risposto. «È stata una sorpresa anche per noi, la settimana scorsa. Cosa ti ha scritto?».
«Niente. Non lo so».
«Comunque dopo ci sono i regali veri, piccolo mio» gli aveva detto sua madre. Il piccolo, Yuri, novello adulto di casa, fissava il soffitto del salotto, aspettando la sorella. In cucina il padre cucinava, aiutato dal figlio minore, Claudio, fratello di Yuri e Licia, che ritardava. La mamma riposava accanto al festeggiato, gli teneva compagnia.
«Ma era proprio pazzo?» aveva chiesto lui.
«Questo sappiamo».
«Cioè?».
«Cioè che lo hanno tenuto in una casa di cura per trent’anni. Poi lo hanno liberato, e un anno dopo, da solo, è morto».
«È morto solo?».
La madre si era alzata in piedi, come per mettere fine alla conversazione. «Non lo so. Era un tipo strano. Non so neppure se si è ucciso lui o cosa. Chiedi a tuo padre. È il suo ramo».
«E come faceva a sapere di me, se sono nato dopo la sua morte?».
Ma sua madre era andata in cucina, per aiutare gli altri. A momenti sarebbe giunta la sorella, Licia, come al solito in ritardo, e allora avrebbero cenato e finalmente festeggiato i suoi diciott’anni, di lì a un’ora, di lì a due ore, qualche ora fa, la torta e i regali e il canto di buon compleanno Yuri, con un giorno di anticipo, ieri sera – ricorda Yuri guardando la fotografia di Bisavolo Ignoto e del nonno pazzo e di suo padre che gli sorride dalla spiaggia in bianco e nero, e il fantasma sopra il letto, fuori dalla fotografia, nella stanza in penombra, il cappottaccio del Bisavolo e i vestiti di suo nonno, le scarpe nere. Si alzò dalla sedia e li piegò da un lato, i vestiti, per poi spostarli sopra il tavolo, con le fotografie e i regali. Si sedé di nuovo. Il nonno aveva uno sguardo duro, rigido, con gli occhi fissi nei suoi, nell’obiettivo, uno sguardo che scavalcava il tempo, gli anni, fino al nipote diciottenne. I conti non tornavano; come poteva sapere di lui, morendo? Il figlio maschio di suo figlio maschio, aveva scritto, detto, dettato, a lui i miei vestiti e queste fotografie ingiallite, a lui che non conosco, che non è nato e che forse non nascerà, che forse non sarebbe mai esistito, il lascito di un folle prima di morire, al figlio di suo figlio – di un folle veramente? Yuri ne aveva parlato anche a suo padre, dopo la festa; gli aveva parlato di suo padre dato per morto, per pazzo, che lo aveva abbandonato, di suo nonno Gabriele che gli donava quelle cose, quei vestiti: cosa significavano? Erano seduti in cucina, dopo lo scarto dei regali.
«Il cappotto non è del nonno, nella foto» aveva osservato suo padre.
«Lo so. È di suo padre. Il nonno tuo, cioè».
«Che non ho conosciuto».
«Come si chiamava?».
«Non ne ho idea. Non credo di averlo mai saputo».
Il discorso era finito lì. Suo padre, Eugenio, non gli aveva mai parlato della propria famiglia, della follia del nonno e della madre assente e degli zii che lo avevano cresciuto, adottato, né intendeva parlargliene adesso. Si era alzato da tavola e lo aveva lasciato solo, facendogli ancora gli auguri e dandogli la buonanotte. Buon compleanno, Yuri, e buonanotte.
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