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Agnes Heller: “Orban è un’infezione per l’Europa intera”

La foto è di (C) Mario Coppola

Pubblichiamo la prefazione del libro “Orbanismo. Il caso dell’Ungheria: dalla democrazia liberale alla tirannia” di Ágnes Heller.

Entrambi gli scritti inclusi in questo volume si focalizzano sui recenti sviluppi politici in Ungheria, nell’“Orbanistan”, come viene definita nel gergo dell’opposizione ungherese. Ma la Storia ungherese, com’è diventato subito evidente, non è solo una vicenda dell’Ungheria. Poiché Ungheria e Polonia sono Paesi privi di qualsiasi tradizione democratica, certe tendenze politiche generali dell’Europa si manifestano in entrambe più precocemente, con maggior forza e in una forma più “classica”, che in qualsiasi altro Stato europeo. L’avversione della periferia nei confronti del centro dell’Ue è in grado di risvegliare o ricreare in questi Paesi un nazionalismo etnico, retaggio della Storia, che può essere fomentato e utilizzato da attori politici privi di scrupoli per accaparrarsi un potere incontrastato. Si è presto compreso però che l’“Orbanismo” non è una specialità esclusiva dell’Europa orientale, ma può servire da modello per la conquista e l’uso del potere politico in molti Paesi europei, forse nella maggior parte di essi. Il nazionalismo etnico viene erroneamente etichettato come “populismo” perché fa appello al risentimento popolare, ma, a differenza del populismo, il risentimento è rivolto, non contro le classi abbienti dello stesso Paese, ma contro gli “altri”, come l’Ue, i migranti e le politiche liberali, razionali e pragmatiche. (L’unico governo populista tuttora esistente sta finendo proprio in questo momento in Venezuela). Il fondamento sociale di questa nuova ondata di nazionalismo etnico è la trasformazione delle società di classe in società di massa, l’autodistruzione dei partiti tradizionali, il ruolo crescente delle ideologie per il consenso popolare e infine l’“incontro” di estrema sinistra ed estrema destra sotto il vessillo del nazionalismo etnico. Le persone della mia generazione esclameranno: “Sono cose che abbiamo già visto: fascismo, nazismo, bolscevismo!”. Eppure non è così semplice. La Storia può ripetersi, ma mai nella stessa maniera. Le nuove tirannie del genere dell’“Orbanistan” sono ampiamente diffuse nell’intero globo. Alcune versioni, come quella russa o quella turca, sono già ben note. Esistono ancora Stati totalitari vecchio stile, ma nessuno di essi è stato fondato ne- gli ultimi cinquant’anni; ecco perché non vedo alcuna possibilità di un loro riaffacciarsi in Europa. Anche per la semplice ragione che nelle società di massa (al contrario che in quelle di classe) non c’è bisogno di partiti totalitari, di prendere il potere con la forza. Le moderne tirannie sono elette e rielette di continuo, con il voto della maggioranza, per così dire “democraticamente”. È per questo motivo che esse si definiscono “democrazie”, anche se aboliscono le libertà civili, quella di stampa in primo luogo, la divisione dei poteri, tutte le istituzioni liberali. Perciò, quando ha definito “illiberalismo” il suo programma, Orbán ha colto nel segno. Le tirannie “post-moderne” di questo genere possono anche differire l’una dall’altra. Alcune incriminano e imprigionano gli oppositori, professori, giornalisti, politici; altre lasciano i partiti dell’opposizione liberi di agire. Mentre negli Stati totalitari è una delle armi principali contro i dissidenti, nelle tirannie attuali la pena capitale è sospesa o abolita. La creazione di una propria oligarchia politicamente obbediente e la redistribuzione dei profitti in favore di quest’oligarchia, tipiche delle tirannie post-moderne, sono eccezionali negli Stati totalitari. Mi limiterò all’Ue. I partiti e i leader del nazionalismo etnico si possono trovare in tre diverse posizioni. Ci sono quelli che governano e controllano pienamente uno Stato, quelli che fanno parte del governo, ma non godono di un potere completo, e infine quelli che aspirano ad acquisire ruoli di governo nel loro Paese. Cosa accomuna tutti quanti? L’ideologia, la politica. Si riconoscono come alleati, come amici. Amici per che cosa? Contro che cosa? Orbán ha affermato: «Salvini è il mio “eroe”». Ripeto la domanda: amici per che cosa, alleati per che cosa? La risposta è già stata data da Orbán: per prendere il controllo dell’Unione europea. Invece di lasciarla, cosa che non è così semplice (vedi la Brexit) sembra più facile conquistare la maggioranza all’interno dell’Unione e, raggiunto quest’obiettivo, imporre politiche di nazionalismo etnico a tutti gli Stati d’Europa. Il sogno del federalismo, di una più salda unità europea, finirebbe, se i sostenitori del nazionalismo etnico avessero il controllo delle istituzioni dell’Ue. Per fare cosa? Per rendere l’Europa “libera dai migranti”. E dopo? Se un governo fonda il proprio potere sull’ideologia del nazionalismo etnico, non può sbarazzarsene a piacimento. Una volta che un partito ottiene il sostegno della maggioranza della popolazione per la sua ideologia nazionalista, può conservare il potere solo perseguendo una politica nazionalista. Le ideologie nazionaliste hanno bisogno di un nemico. Fino a che i sostenitori del nazionalismo etnico non ne avranno preso il controllo, un’Ue liberale, conservatrice, socialista, rimane il nemico. Quando il nazionalismo etnico avrà preso il sopravvento nell’Ue, chi sarà il nemico degli Stati etnici? Chi sarà “il Nemico”? La risposta è semplice e si basa sull’esperienza storica: il nemico di uno Stato nazionale è sempre un altro Stato nazionale. Le piccole schermaglie diplomatiche di oggi diventeranno guerre domani. Non sono parole infondate: basta solo ricordare la guerra dei Balcani degli anni Novanta. Se non c’è analogia tra la nostra epoca e gli anni che hanno preceduto la Seconda Guerra Mondiale, quest’analogia esiste con il periodo precedente la Prima Guerra Mondiale. Da più di mezzo secolo, gli europei occidentali, quelli del Nord e molti del Sud, non hanno conosciuto guerre né minacce a un’esistenza pacifica. Gli antichi nemici d’Europa (Francia e Germania) sono divenuti alleati, lo stato sociale ha garantito a tutti una vita migliore. I conflitti sociali e politici che emergevano sono stati portati avanti da diversi attori politici in maniera essenzialmente pacifica, senza creare gravi minacce per la sopravvivenza dell’Europa; qualcosa però è cambiato, e questo è accaduto intorno al 1968. Lentamente si è costituita l’Unione europea, le ultime dittature d’Europa sono scomparse e infine anche il Muro di Berlino è stato demolito. La democrazia sembrava avere la meglio. L’Unione si è allargata. Chi poteva immaginare, anche nei suoi incubi peggiori, che sarebbe scoppiata una guerra europea nel maggio 1914? Chi poteva immaginare, anche nei suoi incubi peggiori, l’autodistruzione dell’Ue all’inizio del nuovo millennio? E proprio all’apice del successo, in modo brusco e inaspettato, la minaccia del crollo è divenuta reale. Le elezioni europee del maggio 2019 possono essere paragonate al luglio 1914 come spartiacque della Storia europea. A dire il vero, se la leadership dell’Ue non fosse stata burocratica, se i partiti e le famiglie politiche non avessero perseguito solo i loro interessi particolari, se avessero appreso qualcosa dal passato europeo, le imminenti elezioni avrebbero potuto non diventare l’inizio della fine. Sui libri di Storia si possono leggere cose assai simili a proposito del luglio 1914. L’inizio della fine non è ancora Storia, ma futuro. Il futuro è libero nel senso che è aperto. È aperto fino alla fine di maggio 2019. Il nazionalismo etnico gioca la partita più pericolosa sulla nostra pelle: incendiare nuovamente l’intera Europa. Il suo successo può ancora essere scongiurato. Poiché, se non lo fosse, se noi, la popolazione d’Europa, saremo ancora una volta preda di ideologie suicide, l’Unione crollerà e non ci sarà resurrezione. Se i liberal democratici, i conservatori, i socialisti perderanno l’opportunità di difendere la loro Unione, per stupidità, negligenza, incomprensione, mentalità burocratica o codardia, l’Europa come entità politica sparirà dalla mappa politica del mondo. Diventerà un grande museo aperto tutti i weekend per i turisti stranieri.

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