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La prefazione di Tomaso Montanari al libro di Antonio Cederna “La distruzione della natura in Italia”

Pubblichiamo la prefazione di Tomaso Montanari al libro di Antonio Cederna, La distruzione della natura in Italia

Prefazione

di Tomaso Montanari

Scrivo queste righe poche ore dopo che la prima (ma lei preferisce usare il genere del potere: quello maschile) presidente del Consiglio proveniente dal fascismo dopo Benito Mussolini, ha appena promesso, nel suo discorso di insediamento alla Camera dei deputati:

Il motto di questo Governo sarà: “Non disturbare chi vuole fare”. Le imprese chiedono soprattutto meno burocrazia, regole chiare e certe, risposte celeri e trasparenti. Affronteremo il problema partendo da una strutturale semplificazione e deregolamentazione dei procedimenti amministrativi per dare stimolo all’economia, alla crescita e agli investimenti. […] Abbiamo bisogno di meno regole, più chiare per tutti e di un nuovo rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, perché il cittadino non si senta parte debole di fronte a uno Stato tiranno che non ne ascolta le esigenze e ne frustra le aspettative.

Anche la rappresentante di una cultura eversiva, su questo tema, assume l’universale prospettiva del pensiero unico liberista, pronunciando parole che sarebbero state benissimo in bocca a un Matteo Renzi, a un Carlo Calenda, a un Enrico Letta, a un Mario Draghi… Il senso è fin troppo chiaro: mani libere e poche regole per non disturbare il profitto e la rendita. L’interesse privato e particolare, sempre e sistematicamente sopra quello pubblico e generale. Ebbene, questo libro profetico di Antonio Cederna, tagliente come una spada, sta esattamente dalla parte opposta: e sembra scritto oggi per oggi, come tutti i veri classici. Nella Premessa, un vero capolavoro che andrebbe affisso in tutte le aule scolastiche della Repubblica, Cederna annuncia il tema del libro:

La privatizzazione sistematica del suolo nazionale in nome della rendita parassitaria […] il territorio […] terra di conquista per le truppe d’assalto della speculazione edilizia e fondiaria grazie all’incoscienza, al cinismo, all’avidità delle forze politiche al potere, senza riscontro nella storia moderna di nessun altro Paese (cfr. infra, p. 31).

A Cederna, morto nel 1996, è stata risparmiata l’ultima amarezza: quella di scoprire che anche i governi di centrosinistra, che si sarebbero di lì a poco succeduti devastando il Paese e infine consegnandolo ai fascisti, sarebbero interamente ricaduti in quel paradigma terribile. Proprio per questa infinita discesa verso il fondo dell’abisso, riproporre oggi questo libro è necessario. Fin dal suo titolo, che allora poteva sembrare apocalittico e oggi è puramente notarile, esso parla di noi, del nostro tempo: di quella porzione italica di una distruzione globale della natura che minaccia ogni giorno più concretamente la stessa sopravvivenza della vita sulla Terra.

Antonio Cederna è vivo e presente, oggi. E lo è grazie a tre rarissime caratteristiche: la vastità degli argomenti che copriva (l’urbanistica e la salvaguardia del territorio; la distruzione del patrimonio monumentale diffuso; le operazioni di speculazioni sui siti monumentali – come quella, terrificante, dei principi Torlonia a Roma –, ma anche le scempiaggini della cosiddetta politica culturale, a partire dalla follia delle grandi mostre promozionali, oggi al loro apice); la dimensione profondamente politica (e giammai estetica) delle sue idee e della sua scrittura; la durezza con cui attaccava frontalmente figure potentissime, anche all’interno della burocrazia della tutela. Bisognerebbe ristampare la galleria di ritratti dei soprintendenti e dei direttori generali corrotti, incapaci, servilmente disposti a tradire la propria missione per compiacere “i pezzi più grossi di loro”. Se Cederna non è mai apparso una vestale piangente del patrimonio in rovina, ma piuttosto il comandante di una efficace resistenza civile, lo si deve al fatto che non era possibile tacciarlo di passatismo, nostalgia, elitarismo:

Solo le teste dure possono pensare, solo i distruttori d’Italia possono avere interesse a farci credere che la salvaguardia dell’antico è opera puramente passiva e di conservazione. Solo menti retrograde arriva- no a pensare che si possano attribuire ai nuclei antichi, straziando- ne il tessuto, capacità e funzioni proprie dell’urbanistica moderna. Solo i vandali possono pretendere che la città moderna nasca dalle macerie della città antica. Dobbiamo inchiodarci nel cervello la convinzione che la salvaguardia integrale del vecchio e la creazione del nuovo nelle città sono operazioni complementari, due momenti in- dissolubili dello stesso procedimento, che antico e moderno hanno prerogative materiali e spirituali distinte e vicendevolmente necessarie. […] Insomma, solo chi è moderno rispetta l’antico, e solo chi rispetta l’antico è pronto a capire la necessità della civiltà moderna.

Oggi dobbiamo riconoscere che il patrimonio culturale italiano deve più a lui che a Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi e Federico Zeri mes- si insieme. Possiamo dunque ben chiederci, con Leonardo Benevolo:

«Cosa sarebbe l’Italia se Cederna fosse stato pigro?». Per nostra fortuna, non lo fu, e si spese senza requie per il bene comune. E la sua voce continua a essere un antidoto al veleno diffuso del silenzio acquiescente. La propaganda di «coloro che traggono fortune dalla rapina del suolo» scrive nella Premessa a questo libro «ha agito in profondità».

Attraverso tutti i mezzi di informazione ha per lungo tempo conculcato nella gente fin la coscienza delle esigenze elementari, del diritto a un ambiente civile ed umano: nei luoghi turistici e della vacanza gli energumeni del cemento armato hanno saputo ammantarsi di demagogia, corrompere le classi umili e farsele spesso alleate, conquistarle a modelli di sfruttamento del suolo che nulla hanno a che fare con gli interessi locali, e che procurano profitti solo agli imprenditori-colonizzatori. La situazione sembra così, a volte, essere senza speranza (cfr. infra, pp. 31-32).

Oggi, quarantotto anni più tardi, ognuna di queste parole è vera il doppio. E dunque oggi questo libro si legge come una terribile radiografia profetica di ciò che, puntualmente, saremmo diventati mezzo secolo dopo. Il tono è quello dei profeti: ardente, contundente, apocalittico, a tratti davvero senza speranza. Ed è così che deve essere: se vogliamo una qualunque catarsi, a ognuna di queste pagine dobbiamo piangere, strapparci i capelli, batterci il petto, di fronte a una bellezza senza pari che ci è stata strappata senza rimedio alcuno. La catarsi vera, però, porta una liberazione e a un’azione più forte e determinata. Le ultime parole di quella geniale Premessa incitano alla lotta:

La lotta contro la turpitudine ambientale, la lotta per un ragio- nevole uso del territorio, dello spazio fisico, della natura in tutti i suoi aspetti […] è la lotta stessa per la sicurezza del suolo, per lo sviluppo economico, per la giustizia sociale, per la promozione della cultura, per la salute e l’incolumità pubblica (cfr. infra, p. 36).

Sono parole per noi, per il nostro tempo: sono le parole dei ragazzi dei Fridays for Future e del Papa venuto dalla fine del mondo. Sono parole che saldano la giustizia ambientale alla giustizia sociale: l’unica possibile dimensione di riscatto di una umanità mai così prossima a non avere futuro.

Firenze, ottobre 2022

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Fotografia di copertina: ©Maria Marchegiano/ Archivio Cederna, Punta Ala, aprile 1962 (di spalle Antonio Cederna)

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