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Giorno della Memoria – “La notte dei ricordi” e “Il male del Novecento”

Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria in commemorazione delle vittime del nazismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati. Pubblichiamo di seguito due estratti da La notte dei ricordi di Annalisa Comes e Hora Aboav (in libreria dal 24 gennaio) e da Il male del Novecento di Vittoria Franco.

La notte dei ricordi

Annalisa Comes, Hora Aboav

Questo libro nasce dal dialogo fra una maestra e un’allieva, dai racconti e dalle confessioni di due amiche e compagne di viaggio, anche se parla una sola voce. Un solo io tenta di raccontare l’indicibile di una Shoah familiare. Un solo io tenta di comprendere cos’è successo il 7 ottobre 2023 e cosa da quel giorno è cambiato, poiché tutto l’orrore sembra essere accaduto di nuovo. Noi che dicevamo «mai più!». È una sola voce che, pur nella diversità delle storie personali, delle esperienze, delle età, delle circostanze della vita, è nutrita dallo stesso sguardo, dalla stessa tensione verso l’ascolto dell’altro, nella convinzione che “un mondo altro è possibile”. La stessa bocca che racconta il dolore, la sofferenza di memorie private, pronuncia parole di pace, di amore, invitando alla scelta della vita e della benedizione, esortando alla responsabilità piena:

Io ho posto davanti a voi la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli la vita, onde viviate tu e la tua discendenza (Deuteronomio 30,19).

È un libro di memorie, di testimonianza, di storie, di letture, poesie, citazioni, epigrafi. Letture fertili perché non smettono di interrogarci sulla nostra essenza, sul nostro percorso, sulla nostra vita. Perché ci invitano a riflettere attivamente sui grandi temi che riguardano noi tutti: la vita e il nostro rapporto con gli altri, l’amore, il bene e il male, il dolore, Dio. Sono parole di donne, come quelle di Carla Simons, Etty Hillesum, Anne Frank, Eva Mozes Kor, Elisa Springer, Ruth Klüger… non tanto per l’ovvia facilità o naturalezza dell’immedesimazione, quanto per la straordinaria forza di attrazione della forma aperta e dialogica del pensiero femminile: farsi varco per il nuovo. Sono le pietre del nostro cammino.

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Tutti i diritti riservati

Ricordi, testimonianze e letture ebraiche si intrecciano in un dialogo tra una maestra e un’allieva, a una sola voce sul destino di Israele. Nonostante le differenze di storie personali, esperienze, età e circostanze di vita, i pensieri convergono in uno sguardo e un sentire comune, animato dalla tensione verso l’ascolto dell’altro e dalla convinzione che “un mondo altro è possibile”. Attraverso le testimonianze della famiglia Spizzichino e Aboaf, la stessa voce racconta il dolore di memorie intime e l’indicibile della Shoah; pronuncia parole di pace e amore, invitando alla scelta della vita, della benedizione e della responsabilità collettiva.


HORA ABOAV
Psicologa e psicoterapeuta, insegna Ebraico biblico al Centro di Cultura ebraica di Roma. Educatrice e “Candela della Memoria”, ha insegnato alla scuola elementare ebraica “Vittorio Polacco” di Roma. Ha inoltre vissuto in Israele, nel kibbutz Revadim. Ha pubblicato Le voci delle parole ebraiche (Nadir Media, 2022), (‘Attàh) Adesso. Il tempo delle parole ebraiche (Nadir Media, 2024) e, per Castelvecchi, Crescere con le radici delle parole ebraiche (2020).


ANNALISA COMES
Poetessa e traduttrice, studia ebraico biblico con Hora Aboav dal 2018 e con Marc-Alain Ouaknin dal 2022. Ha scritto di letteratura medievale e contemporanea. Tra le sue ultime pubblicazioni la raccolta di prose L’Airone (Ensemble, 2020), il diario di viaggio Ouessant, l’isola delle donne. Diario di una residenza sull’oceano (Iacobellieditore, 2023) e i saggi Il gusto delle parole in Marguerite Duras (Il Leone Verde, 2022) e “Straordinarie avventure”. Poesie per bambini e bambine di poete e scrittrici (Tab edizioni, 2022). Per Castelvecchi ha pubblicato In Francia mi si è gelato il cuore. L’esilio francese di Marina Cvetaeva: 1925-1939 (2016), Astrid Lindgren. Una vita dalla parte dei bambini (2017), e curato Jacqueline Schulhof Blum, Scolpire il tempo. Memorie di una vita (2022) e Vasco Ascolini, Un nero pieno di luce (2023).

Il male del Novecento

Vittoria Franco

Quando diciamo che qualcosa è “male”, che cosa intendiamo? Perché possiamo affermare con sicurezza che l’uccisione di persone innocenti è male? Che cos’è che lo definisce? Ed esso è definibile in fin dei conti o è un concetto sfuggente che si può solo intuire senza spiegarne la sostanza e si presenta piuttosto come un concetto “vuoto”? È plausibile che si possa solo fare esperienza della sofferenza, e di ciò che è male, senza poterne trattare teoricamente? E chi è colui/colei che commette il male? E perché lo fa? E, soprattutto, che cosa distingue il male ordinario dal male radicale, assoluto, che è venuto in essere nel Novecento coi campi di concentramento e di annientamento e con la Shoah, con l’esercizio di un biopotere estremo? Per essere più espliciti: se è vero che la definizione di “male” rinvia a quella di “bene”, essendo il suo contrario, e che esso si contrappone a un dover essere che sempre è presupposto, questo può essere vero anche per il male che si è rivelato ad Auschwitz? Se la Shoah è un “inconcepibile” nell’orizzonte umano e si presenta come un novum nella storia dei crimini contro l’umanità, può esistere un’idea di bene a cui fare riferimento o si tratta di un male assoluto – cioè non definibile in relazione a nessun bene e non legato a motivi «umanamente comprensibili» – che eccede il male tradizionale? Sappiamo, infatti, che il male può essere sofferenza, dolore, morte, sopraffazione, privazione della libertà e dei diritti fondamentali; ma esso, come il male politico totalitario messo in opera dal nazismo, può essere anche deprivazione di dignità, dare la morte senza un perché, sterminio di un popolo per il suo essere quel popolo, controllo sui corpi, che vuol dire dominio totale su uomini da parte di altri uomini; privazione non solo della vita, ma anche di ciò che rende “umano” l’uomo. All’impresa di scandagliare e ritematizzare quello che possiamo definire il “male del Novecento” – che è l’oggetto di questa ricerca – si sono dedicati pensatori, scrittori, storici, testimoni e sopravvissuti, che nella seconda metà del secolo scorso hanno dato vita a una letteratura tanto importante quanto ormai sterminata. Le riflessioni di alcuni di loro, diventati riferimenti imprescindibili, ci accompagneranno attraverso un percorso che non vuole essere storico, ma prevalentemente concettuale, mirando piuttosto a dare conto di itinerari filosofici nei quali si può cogliere non solo la profondità e la complessità del tema, ma un mutamento di prospettiva sul male stesso. Di più: le elaborazioni degli autori trattati […] danno conto e testimoniano dell’indispensabile e necessaria trasformazione, oltre che del modo di considerare il male, del pensiero filosofico in generale e dei termini in cui vengono espresse le concezioni del mondo. Le domande che essi pongono, e che rappresentano plasticamente una nuova torsione del pensiero filosofico, possono essere riassunte in alcune essenziali: com’è potuto accadere Auschwitz nel cuore della civiltà europea e occidentale? Come si è arrivati alla dissoluzione totale dell’humanitas nelle relazioni umane e sociali costruita nei secoli, sia pure per vie tortuose e contraddittorie? Perché – come si chiedono Horkheimer e Adorno – l’umanità, «invece di entrare in uno stato veramente umano», è sprofondata in «un nuovo genere di barbarie» provocando un’eruzione del male? Cosa significa la Shoah nella storia dell’umanità? La “colpa” di quel male è da attribuire a un sistema a cui è difficile o impossibile sottrarsi o è anche individuale? Che ruolo ha la libertà dei singoli nelle decisioni quando il male assurge a sistema? È possibile creare degli antidoti a quel male abissale? Come a esso si può resistere, come lo si può prevenire? Le trame delle risposte vengono tessute diversamente, attraverso prospettive che vanno dall’ontologia all’etica, dalla metafisica alla teorizzazione della irrinunciabile libertà umana; ma esse sono sempre sostenute dal comune filo di una ricerca sulle condizioni in cui quel novum del male assoluto si è realizzato e sul come evitare che esso si ripresenti.

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Che cosa distingue il male ordinario dal male radicale emerso nel Novecento con la Shoah, con il dominio totale sui corpi e sulle menti degli internati? Dopo Auschwitz occorreva cercare definizioni diverse, inventare nuove parole, perché era entrato nel mondo un male assoluto, non definibile in relazione ad alcun bene, svincolato da ogni limite di ciò che è possibile. Nei lager si è consumata la distruzione dell’etica e decretata la «superfluità» degli umani. Autori come Hannah Arendt, Ágnes Heller, Emmanuel Lévinas, Vladimir Jankélévitch, Luigi Pareyson, Zygmunt Bauman e Primo Levi hanno intuito che in quei luoghi abissali si mirava ad annientare l’umanità dell’uomo; hanno quindi cercato di costruire antidoti, un diverso ethos democratico condiviso, basato sul rispetto della dignità della persona, della quale le vittime del nazismo sono state spogliate.

Vittoria Franco
È stata ricercatrice di Storia della filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, dove ha insegnato Storia delle dottrine politiche. Dal 2001 al 2013 è stata senatrice della Repubblica nelle fila del Partito Democratico. Ha pubblicato, tra gli altri, Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di Dio (Donzelli Editore, 1996), Care ragazze. Un promemoria (Donzelli Editore, 2011) e Responsabilità. Figure e metamorfosi di un concetto (Donzelli Editore, 2015). Per Castelvecchi ha curato Parole della convivenza (2020) e scritto la Prefazione a Gesù l’ebreo di Ágnes Heller (2023).

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