Depeche Mode
SERHIJ ZHADAN
Depeche Mode
Charkiv, Ucraina, centro industriale e culturale del Paese, anni Novanta. A un passo dall’epocale caduta del regime sovietico, in un mondo in disfacimento, gli adolescenti avanzano in massa oltre la loro linea d’ombra; parte di una terra e di un popolo che si scopre libero e disorientato, muovono i primi passi tra le rovine del passato, tra vodka, disordini, violenza, povertà, spaccio di droga e cameratismo. Stazioni e vagoni notturni, vecchi impianti industriali, campi nomadi, appartamenti fatiscenti e palazzi del potere sopravvissuto: in questo scenario l’americanismo avanza, l’infiltrazione è in atto. Può darsi che la radio ascoltata dai giovani protagonisti dica la verità, che i Depeche Mode in realtà siano irlandesi, e Gore una donna. E che in Ucraina vada tutto bene. Ancora non sanno che contro la noia c’è di meglio che leggere istruzioni per preparare esplosivi, bere alcol puro, rubare – e che bisogna difendersi, perché non tutti riusciranno a sopravvivere.
SERHIJ ŽADAN
Letterato ed enfant prodige della poesia, venerato in patria come una vera e propria rockstar e salutato all’estero come «il Rimbaud ucraino», secondo la rivista «Forbes» è il più influente scrittore del suo Paese. Vincitore di numerosi premi internazionali, è tradotto in tredici lingue. Saggista acuto e ironico, è anche compositore, cantautore e performer. Dopo Depeche Mode, il suo primo romanzo, ha poi pubblicato La strada del Donbas (2016), Mesopotamia (2018) e Il convitto (2020).
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