Autodafé dello spirito
Joseph Roth
Autodafé dello spirito
Autodafé dello spirito è la testimonianza dell’impegno civile e politico di Joseph Roth durante gli anni dell’esilio, dal 1933 al 1939. È il grido d’allarme di un intellettuale che non vuole cedere alla follia criminale che lo circonda, ma vede chiaramente il baratro verso il quale la Germania nazista sta trascinando l’Europa. Attraverso questi articoli possiamo ricostruire le urgenze e gli sviluppi del pensiero dello scrittore: il suo scivolare dall’iniziale socialismo verso posizioni monarchiche (ma
sempre in chiave antifascista), la rivendicazione dell’erranza ebraica (contrapposta al sionismo e alla ricerca di una patria geografica), la difesa dei valori umanistici della cultura europea. Mentre descrive i roghi di libri, l’abbrutimento della propaganda
e le colpevoli esitazioni delle democrazie, la scrittura di Roth oscilla tra il sarcasmo, la disperazione e improvvisi slanci di speranza, ma la sua visione rimane lucida fino alla fine. Fino all’ultimo articolo, pubblicato il giorno prima del ricovero in ospedale, dove l’ombra dei campi di concentramento invade il simulacro svuotato di senso della cultura tedesca: «La quercia di Goethe a Buchenwald».
sempre in chiave antifascista), la rivendicazione dell’erranza ebraica (contrapposta al sionismo e alla ricerca di una patria geografica), la difesa dei valori umanistici della cultura europea. Mentre descrive i roghi di libri, l’abbrutimento della propaganda
e le colpevoli esitazioni delle democrazie, la scrittura di Roth oscilla tra il sarcasmo, la disperazione e improvvisi slanci di speranza, ma la sua visione rimane lucida fino alla fine. Fino all’ultimo articolo, pubblicato il giorno prima del ricovero in ospedale, dove l’ombra dei campi di concentramento invade il simulacro svuotato di senso della cultura tedesca: «La quercia di Goethe a Buchenwald».
JOSEPH ROTH
(Brody, 1894 – Parigi, 1939) Scrittore e giornalista, è stato il testimone e il cantore della dissoluzione dell’Impero austro-ungarico. Nato in Galizia, cresce in un ambiente ebraico ortodosso, studia letteratura tedesca a Vienna e si arruola come volontario nella Grande Guerra. Giornalista e narratore di successo, nel 1920 si trasferisce a Berlino, ma scrive frequenti reportage dall’estero per «Frankfurter Zeitung». In seguito all’ascesa di Hitler è costretto a lasciare la Germania, continuando a pubblicare i suoi libri in Francia e nei Paesi Bassi. Muore di polmonite all’ospizio dei poveri di Parigi nel 1939. Tra i suoi romanzi ricordiamo Fuga senza fine (1927), La cripta dei cappuccini (1937), La leggenda del santo bevitore (1939). Nel 2013 Castelvecchi ha pubblicato La quarta Italia, un reportage dall’Italia degli anni Venti, e lo scambio di lettere con Stefan Zweig, L’amicizia è la vera patria (nuova edizione 2019).
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