Regimi di guerra. O della vita che non merita lutto
Judith Butler
Regimi di guerra. O della vita che non merita lutto
Introduzione di Olivia Guaraldo
A cura di Giacomo Mormino
Perché restiamo indifferenti di fronte alle innumerevoli vite spezzate di cui quotidianamente abbiamo notizia – vite precarie di rifugiati, innocenti torturati, immigrati ridotti in schiavitù dalla fame e dimenticati dalla legge? Come possiamo trasformare la sofferenza che osserviamo sugli schermi in qualcosa che ci tocchi nell’intimo? Nel tempo in cui la guerra, dall’Ucraina a Gaza, pervade i notiziari e le nostre menti, Judith Butler ci invita a riflettere sul modo in cui la violenza militare ha profondamente trasformato non solo il panorama geopolitico, ma anche la nostra percezione della realtà. La retorica disumanizzante della guerra e la narrazione mediatica dei conflitti armati ci hanno abituato a razionalizzare la morte di intere popolazioni, presentate non come vittime bisognose di protezione, ma come minacce esistenziali. Le vite che non si conformano alla «norma occidentale dell’umano» ci appaiono infatti come già perdute, vite che non meritano il nostro lutto. La sfida più urgente è dunque imparare a far propria la sofferenza altrui, adottando una prospettiva critica che metta in discussione le «cornici interpretative» che ci vengono imposte. Solo chiedendosi se e come questi soggetti esistano al di là di tali schemi normativi, solo riconoscendo la precarietà radicale e condivisa da ogni vita umana potremo ripensare le forme di coesistenza sul nostro pianeta, al di là di ogni logica militare.
Judith Butler
Filosofa post-strutturalista statunitense, ha offerto contributi fondamentali nei campi del femminismo, della teoria queer, della filosofia politica e dell’etica. Attualmente insegna Letterature comparate alla University of California, Berkeley e Filosofia alla European Graduate School. Tra le sue opere più recenti tradotte in Italia ricordiamo Chi ha paura del gender? (Laterza, 2024) e Che mondo è mai questo? (Laterza, 2023). Castelvecchi ha pubblicato la prima traduzione integrale del suo saggio fondativo Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso” (2023).
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